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Andrea Inglese a Perché i poeti?

Rassegna a cura di Biagio Cepollaro.

Interventi di Giorgio Mascitelli e Italo Testa.

Bezzecca Lab, Milano, 18 gennaio 2018

Una sorta di rubrica che sto curando per il blog Nazione indiana ha l’obiettivo di suggerire delle auto-antologie poetiche. Il poeta viene invitato a ripercorrere il tragitto compiuto e a riflettere su questo percorso dedicando a ciò una pagina di annotazioni. E’ l’autore stesso che scrive la sua storia e l’intervento dall’esterno è ridotto al minimo. Questa richiesta di riflessione necessaria all’auto-presentazione  mi pare che vada in direzione opposta al flusso della rete che per sua natura tenderebbe a non coagulare, fermare, riflettere ma, al contrario, a costituire un continuum di informazioni senza soluzioni di continuità.

Queste auto-antologie vorrebbero opporsi a questa dispersione o disseminazione più o meno euforica che la rete sembra esprimere. Spero che in questo modo si possa dare un’idea della produzione di poeti giunti ad una prima piena maturità letteraria. Questa iniziativa vuole contribuire, in questo caso solo sulla rete, ad offrire un rallentamento riflessivo, in parte correttivo, alla tendenza entropica della diffusione attuale della poesia.

Fin qui sono stati invitati Francesco Tomada, Vincenzo Frungillo, Francesco Filìa, Viola Amarelli, Eugenio Lucrezi, Renata Morresi , Gianni Montieri e, a breve, apparirà l’auto antologia di Italo Testa. Questo è anche un modo, sia pure in minima parte, di restituire alla poesia quella funzione riflessiva, intellettuale e critica che per lo più in questi anni, forse per troppa ricchezza di offerta creativa, sembrerebbe quasi perduta.

2018

Italo Testa.

Proposta di lettura di Biagio Cepollaro

2018

(da: Biometrie, Manni, 2005)

Scandire il tempo

 

Devi intonare la litania dei corpi

di quelli esposti nel riverbero dei fari

di quelli accolti nel marmo degli ossari

 

devi orientarti per i tracciati amorfi

tra le scansie dei centri commerciali

scandire il tempo di giorni disuguali

 

devi adattarti al ritmo delle sirene

lasciare i ripari, esporti agli urti

abbandonarti al canto degli antifurti

 

trasalire nel lucore delle merci

cullarti al flusso lieve dei carrelli

sognare animali e corpi a brandelli

 

devi nutrirti di organi e feticci

profilare di lattice ogni fessura

pagare il conto e ripulire con cura

 

recitare il rosario dei volti assenti

svuotare gli occhi, ritagliare le bocche

aderire alla carne e schioccare le nocche.

 

Già in questa poesia del 2005 si presenta, quasi come un programma, il lavoro di Italo Testa. Un lavoro teso a trattare la poesia come forse avrebbe voluto il Musil de La conoscenza del poeta, scritto nei primi anni del 900. Qui veniva sottolineata l’idea che il poeta, a differenza dello scienziato, non coglie mai il generale ma sempre il singolare, la singolarità e l’eccezione. Mi pare che Testa si affidi questo compito attraverso un metodo che non è soltanto formale e di scrittura ma è anche un metodo esistenziale, una sorta di resa per la conoscenza, resa alla condizione in cui si è posti dalla storia. Pur nella consapevolezza dell’artificialità di questa condizione, si assume il compito di fare di questa condizione che non può essere mutata facilmente, un luogo di conoscenza attraverso la resa. Una resa psicologica ma non intellettuale, nel senso che la conoscenza continua a penetrare l’esistenza, continua  a interrogare l’esistenza come se tutto fosse ancora da comprendere. E in realtà è come se si fosse compreso l’insieme ma i singoli momenti della vita restano ancora tutti da vivere, da vedere. Questo è il secondo tema importante: la visione. La poesia per Testa è immagine anche quando è ritmo. L’immagine è ciò che appare, è ciò che viene inseguito da lui, l’immagine è la luce dell’apparenza, è il senso dell’apparenza. L’immagine è anche ciò che ci è dato, non solo ciò che viene posto indipendentemente da noi ma anche ciò che ci viene donato e il dono viene prodotto dall’arte. C’è una strana combinazione tra necessità e libertà. Si è necessitati in un contesto di alienazione (urbana, industriale, post-industriale) eppure questa necessità lascia degli ambiti di libertà. Da Mattinale in La divisione della gioia del 2010

mattinale

 I

fincantieri, 3 a.m.

 

tre del mattino. le pale meccaniche

ritagliano in campi blu la notte:

 

alle fermate d’autobus lo sterno

s’alza, s’abbassa, segue un suo ritmo

 

sordo, illuminato dal bagliore

del gas che avvampa sui cantieri.

 

quelle sugli angoli, cui il passante

ieri ha venduto la sua innocenza

 

fissano immobilizzate i fari

tra i container nudi sullo spiazzo.

 

senza appetito potrà cibarsi

l’automobilista insonne al chiosco

 

dove un ago ti cala sulla lingua

se non attacchi la vita a morsi:

 

e con la luce che irrompe sui viali

sciama il disgusto, e può avvicinarsi

 

il tuo fiato a quello degli altri

che affilano i talloni contro i pali

 

uguali, sempre, sotto queste spoglie

alle poiane in agguato sulle valli,

 

le utilitarie sfrecciano e ghermiscono,

depositano le ossa tra le foglie:

 

tre del mattino, le pale meccaniche

fendono ancora la notte, e immobile

 

l’airone acquattato sugli scogli

sogna la preda tra le salicornie:

 

Qui troviamo sullo stesso piano l’elemento biologico e quello artificiale, meccanico. Ormai questa seconda natura ha reso omogenee le condizioni in cui si vive. Un solo sguardo trapassa da un piano all’altro nell’omogeneità dei richiami sonori. E in un certo senso questo rapporto tra superficie e apparenza, tra organico e meccanico ci riporta anche al pittore Hopper, significativo riferimento per Testa. Si tratta della verità non come simbolo ma come immagine e immagine non santificata, ma ordinaria, come il raggio di luce su di una casa per Hopper. Questo è il vero mistero, il vero fascino percettivo della realtà così come appare. Dunque c’è una rivolta sotterranea, silenziosa che non è ideologica, è senza alterità immaginata alla situazione, la rivolta avviene in modo estetico. Viene presentato ciò che uccide: il feticcio come mondo. E’ il presupposto questo di una rivolta ma anche il modo per abitarlo, questo mondo. Perché la dimensione artistica coglie la singolarità di cui si diceva. La dimensione artistica è anche il luogo in cui il nostro personale tempo viene espresso mentre si consuma. Nel 2004 nell’esordio de Gli aspri inganni aveva dichiarato programmaticamente: “Tu al bianco devi cedere, muto / aderire all’indifferenza delle cose”. Questa adesione, questa sorta di senso della terra, terra ormai alienata, deforme questo senso di aderenza alle cose non è nient’altro che aderenza sensibile, sensoriale, percettiva all’indifferenza delle cose. Questa aderenza è un modo per giungere ad una sorta di totalità orizzontale del senso.

 

2018

 

Invito 24-03-2017_BIAGIO CEPOLLARO[Qui di seguito la trascrizione dell’intervento di Italo Testa nell’ambito della presentazione alla libreria popolare di via Tadino a Milano il giorno 24 marzo 2017. Gli altri relatori erano Giulia Niccolai e Giorgio Mascitelli]


Non è facile capire come parlare di un libro che “ritorna”. In un certo senso, per me è meglio trovare un punto di incontro che sia anche personale. Non è difficile farlo se si tratta di Lavoro da fare che è il libro attraverso il quale ho incontrato Biagio Cepollaro, negli anni immediatamente precedenti e successivi alla stesura del libro. In quell’occasione Biagio, che era già un nome per me, è diventato anche un volto, un amico. Lavoro da fare è soprattutto un libro legato all’incontro con lui e diventa la prospettiva dalla quale ho guardato a ciò che ha fatto prima e anche a ciò che ha fatto dopo. Tendo a leggere e ascoltare la sua voce poetica proprio passando attraverso Lavoro da fare. Credo che non sia una relazione che riguardi solo me. Anche altre persone che hanno condiviso con me un tratto del percorso della propria scrittura e della propria poesia penso possano guardare  a Lavoro da fare in questo senso.  Questo libro esce in ebook nel 2006 nel momento in cui Biagio attraverso il lavoro che faceva con il suo sito come editore on line, ha cercato credo con successo di fare da ponte tra generazioni diverse. Negli ebook delle sue edizioni on line hanno esordito o pubblicato i primi scritti parecchi dei poeti e degli scrittori con i quali ho condiviso,  a partire da quel momento, esperienze comuni. Penso appunto a Stefano Salvi, Alessandro Broggi, Sergio La Chiusa, e tanti altri. Lavoro da fare è un libro la cui importanza va al di là della sua struttura e del suo contenuto, della sua unicità come libro, su cui tornerò dopo. Lavoro da fare ha anche a che fare nell’opera di Biagio con un percorso di ascolto, di stimolo, di richiamo, di interlocuzione con altri. E’ un libro che, nonostante il tono monologico di meditazione, getta un ponte verso gli altri, estremamente interrogativo rispetto ad altre esperienze della poesia e della scrittura. Ed è un libro che è difficile scindere dal suo portatore, da Biagio come voce. L’incipit del prologo lo sento legato alla sua cifra: se devo pensare a lui lo sento leggere questi primi versi.

Dopo questa breve premessa vorrei venire a un corpo a corpo con il libro e  a quella che è una lettura retrospettiva, perché appunto è un libro a cui si ritorna. E’ un libro molto bello nella sua struttura e nella sua unità formale: ha sua riconoscibilità dovuta ad una forma che, fondendo “l’onda del mondo” e il flusso del pensiero, raggiunge una identità tonale molto forte. All’interno del libro è installata una voce: è un libro che come in automatico installa una voce che lo legge dall’interno. Quest’aspetto in parte ha a che fare con la dimensione di soliloquio; in parte ha a che fare con la riuscita, con la grazia di questa scrittura che riesce a individuare fortemente la dizione di ciò che viene detto, come una voce singolare molto marcata.

Vorrei dire qualcosa su come questo libro potesse parlare alla sua uscita negli anni zero, a chi lo leggeva allora. Cercherò di sviluppare un’idea su che tipo di messaggio veicolava rispetto alle scritture coeve. Cominciando proprio dal titolo: Lavoro da fare. Mi sembrava un’ingiunzione, un appello, una chiamata non alle armi, alla lotta, quanto piuttosto una chiamata alla resa: non al darsi per vinti ma all’abbandono, al venire al mondo.

A pag.12 si legge:

Perché la vita è più grande di noi

C’è questo afflato molto forte verso “l’onda del mondo”, come un senso di necessità, di richiamo, per quanto riguarda l’opera della scrittura, a ripensare, a vivere la propria esperienza di poesia all’interno di quest’ingiunzione: come un confronto diretto con l’esistenza, con la vita, con il mondo. Questo è il senso maggiore di necessità che si avverte in questo libro, un aspetto testimoniale presente in questa dimensione che non è tanto esistenziale della poesia come vita… Piuttosto chiama ad una serietà, una tremenda serietà per quello che può significare fare poesia. L’altro elemento che secondo me a questo si lega è che l’ingiunzione non risuona solo per sé ma anche per gli altri che si trovano a scrivere, a fare poesia: è un’idea della poesia. Non è un libro metapoetico ma è un richiamo ad un’idea alta della poesia. Qui vi è l’idea che la poesia non sia solo una questione linguistica, ma sia qualcosa la cui novità e capacità di “apertura”, termine ricorrente nel libro, non si misuri soltanto sulle parole. A pag 74 :

una piazza è tale

non per la fontana al centro

o per le case

intorno

ma per il cielo

vasto che la ricopre

dove c’è questo elemento di un insieme più vasto a cui siamo chiamati e quest’apertura che è un passare attraverso il linguaggio per andare oltre il linguaggio. L’altro elemento che a questo legherei riguarda il suo legame con il contesto letterario coevo. Mi pare che ci sia una forte consapevolezza che Biagio in quel momento volesse trasmettere ad altri, in quel momento degli anno zero, di essere entrati in una condizione post-letteraria. Qui il nostro fare poesia non passa più necessariamente attraverso le istituzioni letterarie che si vanno disgregando. Qui vi è un richiamo alle cose stesse. In un momento di disgregazione in cui la società letteraria come noi la conosciamo in effetti non esiste più. Ma tale situazione comprende anche una possibilità di novità, comunque quel grado zero della scrittura da cui bisogna ripartire e ricostruire. In quel momento, ma anche ora, si avvertiva un forte elemento ricostruttivo, di fiducia nelle possibilità anche antropologiche del fare poesia. Soprattutto di una poesia che deve insieme produrre il proprio contesto, che non è più acclarato, certo, non è più dato rispetto a quello che poteva essere nella situazione di qualche decennio prima, ma insieme mentre produce questo contesto deve liberarsi ad un contesto più ampio. In questo senso citerei i versi a proposito di questa situazione postletteraria in cui saltano gerarchie e l’ordine del sapere, in cui la poesia aveva la sua collocazione.

A pag 17:

non c’è sapere non c’è ignoranza

non c’è neanche alto

e basso

tutto si dà nel cielo

per imponenza

e allora perché raccontarsi

delle storie?

Il termine “cielo” usato in altra accezione rispetto al caso precedente si impone in un panorama dove salta l’ordine anche socialmente definito. Si tratta di prendere atto di questa situazione e ripartire. Il titolo Lavoro da fare richiama programmaticamente questa fiducia ricostruttiva, al seguito di un terremoto che è sia personale che epocale. Vi è l’idea della poesia che non si risolve nel lavoro linguistico e neanche nel lavoro di definizione della propri figura di poeta in un campo letterario. E’ piuttosto una forma di vita, nel senso che la scrittura dà forma alla vita. Questo primato del fare della poesia, come Biagio scrive in Nel fuoco della scrittura (La camera verde, Roma 2008), è “un agire silenzioso” che cerchi di nuovo di stabilire un passaggio tra singolarità e agire comune. In altro verso, a pag. 27:

non c’è canto se non nell’insieme

Il lavoro è da fare assieme, ognuno piantato nella propria singolarità dal chiodo in cui è fissato. A partire da lì riesce a fare appello e a definire uno spazio al di là dello spazio atomico in cui ognuno si trova ad articolare la propria voce.

 

 

 

 

Registrazione audio della presentazione di Lavoro da fare (2002-2005), Dot.com press, Milano 2017, alla Libreria Popolare di via Tadino a Milano, 24 marzo 2014.

A parlarne con l’autore, Giulia Niccolai, Italo Testa, Giorgio Mascitelli.

 

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Da sinistra: Giorgio Mascitelli, Giulia Niccolai, Biagio Cepollaro e Italo Testa

 

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Da sinistra: Giorgio Mascitelli, Giulia Niccolai, Biagio Cepollaro e Italo Testa

 

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Invito 24-03-2017_BIAGIO CEPOLLARO

Lavoro da fare è un grande testo di meditazione poetica, dove si fa ancor più accentuata, quasi “naturale”, la capacità di fondere pensiero, preghiera, lacerti di quotidiano e di storia sociale. La lingua scorre, senza incrinarsi o implodere, ma è lo scorrere, penso, di chi cammina su un filo, conoscendo l’abisso sottostante; una sorta di esercizio zen.

Giuliano Mesa (2006)

Questi versi dunque non annunciano un programma per la poesia, ma semplicemente spiegano una condizione soggettiva (che poi certe condizioni soggettive risultino più interessanti per tutti di molti programmi oggettivi è una cosa talmente ovvia che non vale la pena di dirla) (…) Ma naturalmente il lavoro da fare è lavoro che riguarda innanzi tutto il senso della propria esperienza e la poesia è lo strumento malleabile di questo percorso, senza diventarne mai il monumento.

Giorgio Mascitelli (2006)

La centralità del nesso scrittura–vita in Cepollaro non assume mai comunque i toni dell’autoironia, della mascherata tra l’indulgente e il sacrificale che ritroviamo in Giudici e, seppure con toni più grotteschi e parodistici, in Sanguineti. In entrambi questi autori il nesso scrittura–vita è esibito costantemente, ma attraverso una forma di esorcismo se ne vuole neutralizzare l’eccessiva gravità. In Cepollaro, invece, questa gravità persiste. Nessun tentativo ludico o teatrale di depotenziare questo nesso, quindi, ma neppure l’esigenza di sbandierarlo. (…) In realtà, con Lavoro da fare si annuncia un moto duplice, che è al contempo di denudamento e d’intensificazione.

Andrea Inglese (2013)

Ringrazio Christian Tito per questo “ritratto” intelligente e appassionato. Ora che sta per uscire dalla Dot.com Press la prima edizione cartacea del libro quasi omonimo Lavoro da fare (2002-2005), dopo un decennio di vita on line, questo titolo mi è particolarmente vicino e questo suo ritratto continua a darmi conforto.

TU SE SAI DIRE DILLO

Quarta edizione

 cop

 

17-18-19 settembre 2015

Galleria Ostrakon

via Pastrengo 15, Milano

 

La rassegna Tu se sai dire dillo, ideata da Biagio Cepollaro e giunta alla quarta edizione, è dedicata alla memoria del poeta Giuliano  Mesa, scomparso nel 2011.

A leggere le sue poesie, oltre a Biagio Cepollaro, vi sarà anche Andrea Inglese.  Quest’anno i temi saranno: l’esperienza di Milanopoesia (1983-1992) raccontata da Eugenio Gazzola e da alcuni protagonisti come l’artista William Xerra, la poetessa Giulia Niccolai e dall’organizzatore Mario Giusti; il festival dei nostri anni  Bologna In Lettere a cura di Enzo Campi ; l’Artventure parigina di Lucio Fontana ricostruita da Jacopo Galimberti, l’opera elettronica di Giovanni Cospito eseguita al Teatro Verdi, situato proprio di fronte allo Spazio Ostrakon.

E ancora avranno spazi dedicati: la figura unica diventata leggenda del poeta-operaio Luigi Di Ruscio tratteggiata da Christian Tito; la nascita del blog  Perigeion e i poeti Massimiliano Damaggio, Antonio Devicienti, Nino Iacovella, Gianni Montieri , presentati da Francesco Tomada, e infine, la poesia di Nadia Agustoni, Giusi Drago, Francesco Forlani, Vincenzo Frungillo, Italo Testa e la prosa di Giorgio Mascitelli.

17 Settembre, Giovedì

 

ore 18.00

 Biagio Cepollaro e Andrea Inglese leggono Giuliano Mesa

ore 18.30

 L’artventure parigina di Lucio Fontana a cura di Jacopo Galimberti

ore 19.30

Le poesie di:

Nadia Agustoni

Giusi Drago

Francesco Forlani

Vincenzo Frungillo

Italo Testa

 

I racconti di :

Giorgio Mascitelli

ore 20.30

Intervallo

ore 21.00  Il pubblico è invitato a spostarsi al Teatro Verdi, di fronte allo Spazio Ostrakon

Opera elettronica di Giovanni Cospito su testi di Biagio Cepollaro

 

 

18 Settembre, Venerdì

ore 18.00

Gli anni di Milanopoesia

a cura di Eugenio Gazzola

 

Saranno presenti:William Xerra, Giulia Niccolai, Mario Giusti

 

ore 19.30

Intervallo

ore 20.00

 

Lettere dal mondo offeso: per Luigi Di Ruscio

a cura di Christian Tito

 

Letture dal romanzo epistolare

Proiezione video

Testimonianze

 

19 Settembre, Sabato

ore 18.00

Perigeion e i poeti

a cura di Francesco Tomada

 

Massimiliano Damaggio

Antonio Devicienti

Nino Iacovella

Gianni Montieri

Francesco Tomada

 

ore 19.30

Intervallo

ore 20.00

Il presente di Bologna in Lettere

a cura di Enzo Campi

“Agit-prop-poetry”, un intervento di Enzo Campi

“Sistemi d’Attrazione”, proiezione di un video montato con i materiali della terza edizione del Festival Bologna in Lettere

“Sì, si può”, recital multimediale con Alessandro Brusa, Martina Campi, Francesca Del Moro, Rita Galbucci, Enea Roversi, Jacopo Ninni, Mario Sboarina, Enzo Campi

 

 

 

L’immagine in copertina è di Biagio Cepollaro, Predella-Dittico, dipinto su due pannelli. Tecnica mista su mdf, cm 80 x 50 complessivi,2009.Coll privata, Milano

Da sinistra: Biagio Cepollaro e Giuliano Mesa

Da sinistra: Biagio Cepollaro e Giuliano Mesa

TU SE SAI DIRE DILLO

Terza edizione
18-19-20 settembre 2014
Galleria Ostrakon
via Pastrengo 15, Milano

 

La Galleria Ostrakon ospita, tra il 18 e il 20 settembre 2014, la terza edizione della rassegna Tu se sai dire dillo,dedicata alla memoria del poeta Giuliano Mesa (1957-2011) e ideata da Biagio Cepollaro. Anche quest’anno l’attenzione è rivolta a poeti importanti e radicali del ‘900 ancora poco conosciuti come Gianni Toti (1924-2007), tra l’altro pioniere della video poesia in Italia di cui viene presentata per la prima volta l’intera opera in versi curata da Daniele Poletti; Emilio Villa (1914-2003), precursore delle neoavanguardie,in nome del quale si sono svolte nel corso dell’anno molte iniziative promosse da Enzo Campi, a partire proprio dalla galleria Ostrakon, e Paola Febbraro (1956-2008), poetessa prematuramente scomparsa intorno alla cui opera parleranno Anna Maria Farabbi ,Viola Amarelli e Giusi Drago. Ad arricchire il programma vi è la presentazione dell’ambizioso progetto Phonodia, curato da Alessandro Mistrorigo della Ca’ Foscari di Venezia, relativo ad un archivio di voci di poeti di tutto il mondo. Infine sulla questione della critica letteraria oggi verterà una conversazione tra Luigi Bosco e Lorenzo Mari, redattori del blog In realtà, la poesia, e Luciano Mazziotta.

18 Settembre, Giovedì

ore 19.00

Biagio Cepollaro legge Giuliano Mesa

Buffet e aperitivo

ore 21.00

Gianni Toti e la Casa Totiana
a cura di Daniele Poletti e con la collaborazione della Casa Totiana

Invitati e interventi:
Daniele Poletti, Ermanno Moretti, Daniele Bellomi, Pia Abelli Toti, Dome Bulfaro,

Giovanni Anceschi, Pier Luigi Ferro, Raffaele Perrotta, Giacomo Verde, Giacomo Cerrai

Pia Abelli Toti parlerà della Casa Totiana e di Gianni Toti.

Daniele Poletti e Ermanno Moretti presenteranno [dia•foria e il libro TOTILOGIA

E’ la prima antologia completa dell’opera poetica di Toti, corredata da interventi critici, creativi e da un inedito.
Il libro è stato pubblicato, con il sostegno de La Casa Totiana, da [dia•foria, edizioni Cinquemarzo.

Giacomo Verde presenterà il video Fine Fine Millennio, che partecipò all’UTAPE del 1987, con Gianni Toti in giuria

Proiezione di 2/4, video di Gianni Toti

 

19 Settembre, Venerdì

ore 19.00

La critica letteraria: In realtà, la poesia

Luigi Bosco e Lorenzo Mari dialogano con Luciano Mazziotta.

Sono invitati:

Francesco Forlani, Vincenzo Frungillo, Andrea Inglese, Giorgio Mascitelli, Luigi Metropoli, Davide Racca, Italo Testa, Pino Tripodi

 

 

Buffet e aperitivo

 

ore 21.00

Progetto PHONODIA Ca’ Foscari di Venezia

a cura di Alessandro Mistrorigo

 

 

20 Settembre, Sabato

ore 19.00

La poesia di Paola Febbraro
a cura di Giusi Drago

Intervengono:
Viola Amarelli e Anna Maria Farabbi

 

Buffet e aperitivo

 

ore 21.00

Un anno per Villa
a cura di Enzo Campi

“Il Clandestino”, video-intervento di Stelio Maria Martini su Emilio Villa

Saranno presenti alcuni degli autori che hanno collaborato alle imprese editoriali e performative del progetto Parabol(ich)e dell’ultimo giorno, Dot.Com Press – Le Voci della Luna.
Il libro raccoglie, oltre ai testi villiani, contributi critici e operazioni verbovisive di:

Daniele Bellomi, Dome Bulfaro,
Giovanni Campi, Biagio Cepollaro, Tiziana Cera Rosco,
Andrea Cortellessa, Enrico De Lea,
Gerardo de Stefano, Marco Ercolani, Flavio Ermini,
Ivan Fassio, Rita R. Florit, Giovanna Frene,
Gian Paolo Guerini, Gian Ruggero Manzoni,
Francesco Marotta, Giorgio Moio,
Silvia Molesini, Renata Morresi, Giulia Niccolai,
Jacopo Ninni, Michele Ortore, Fabio Pedone,
Daniele Poletti, Davide Racca, Daniele Ventre,
Lello Voce, Giuseppe Zuccarino, Enzo Campi

 

 

Qui un video a cura di Diaforia e di Daniele Poletti dedicato alla serata che ha visto protagonista la figura di Gianni Toti. Le riprese riguardano anche altri momenti della rassegna.

 

Immagine

 

Ostrakon  Letteratura

TU, SE SAI DIRE, DILLO.

Edizione 2012

Tre incontri nel dire

tu, se sai dire, dillo, dillo a qualcuno. Giuliano Mesa

A quasi un anno dalla scomparsa del poeta Giuliano Mesa (Salvaterra, 1957-Pozzuoli, 2011), lo Spazio Ostrakon di Milano intitola la sua prima edizione di Tu, se sai dire, dillo con un verso dell’autore del Tiresia. Tu, se sai dire, dillo: la poesia è sia un talento coltivato, come qualsiasi altra arte, sia una necessità. Nel tempo della povertà, come direbbe Hölderlin, talento e necessità reali scarseggiano a fronte della facilità con cui spuntano i facitori di versi. Ostrakon prova ad offrire uno spazio adeguato all’arte della parola poetica avvicinando in tre incontri autori molto diversi tra loro per generazione e formazione ma accomunati dalla sicurezza e dalla forza dello stile. Leggi il seguito di questo post »