Italo Testa a Bologna in lettere 2020


Italo Testa

Uno sguardo a Al centro dell’inverno

Con Al centro dell’inverno Biagio Cepollaro conclude la sua trilogia delle qualità che si rivela ad uno sguardo retrospettivo come un’unica catena anaforica che tiene assieme in una trasmissione continua le manifestazioni di questo corpo-soggetto descritto in terza persona ma nello stesso tempo singolare presenza animatrice dei versi dell’intera opera. Tale corpo è un punto di vista incarnato che diventa momento di un “fluire in comune” come scrive appunto Biagio Cepollaro in cui i corpi singolari si collocano in un fascio di luci di altri corpi, le “teste si annodano con onde invisibili”. L’esperienza della rete che era alle spalle delle precedenti ante della trilogia qui ritorna ma nello stesso tempo si allarga, si dirama nel dare forma a questo corpo-presenza che è appunto un corpo mente, un Body-Mind: è l’istanza di un pensiero incorporato che “secerne grumi di pensiero” che carnalmente individuato è anche insieme esposto alle contingenze degli eventi. E’ insieme singolare e plurale in quanto nel suo individuarsi si apre continuamente all’ incontro con l’altro, si sveglia anche nei momenti onirici nel sonno dell’altro, si fonde con l’altro. E’ un corpo-mente  che è oggetto ma insieme soggetto di una “piccola scienza dei movimenti”, una sorta di piccolo trattato spinoziano che ha come protagonista questa fisica incorporata, questa scrittura fisica. È un corpo che vive una sua dimensione di sovranità che non è politica, non riguarda la storia del potere e del dominio ma è piuttosto la sovranità del corpo “ che cerca e trova la sua sovranità nell’ occhio che senza storia ricorda intero l’accaduto: è nuovo” E’ la sovranità dell’occhio senza storia che scopre di abitare in una dimensione, in un tempo immemorabile, appunto, in cui è sciolto dalla trama, è spogliato dalla configurazione del tempo storico e in questo può incontrare il nuovo.

Versi nuovi era il titolo di un’opera di transizione che portava verso questa trilogia e la questione del nuovo, a mio avviso, rimane sottostante anche a Al centro dell’inverno. È un nuovo che si apre, si squaderna in quello che già nella prima parte del libro è chiamato il collasso della storia. Si squaderna in una dimensione post- storica che pone in atto una sorta di sospensione, di epoché che consente di prendere le distanze da quell’ impalcatura del tempo lineare e progressivo che dà forma alla finzione centrale delle nostre vite, della nostra modernità. La distanza dalla storia è piuttosto lo strappo in un tempo immemorabile. In questo strappo, dice Cepollaro, in questa sospensione l’esistenza è guardata tutta d’un fiato “non c’è trama né storia”. Per questo sguardo d’una esistenza sovrana, denudata ma non nel senso di una mera nuda vita  biologica ma nel senso di un’esposizione ad un contatto anche sovra-storico che Al centro dell’inverno si muove. Ciò che possiamo chiamare la natura che viene dopo, è il tema del contatto con il paesaggio, non chiamiamolo natura ma, come scrive Cepollaro, “non è la natura che cerca ma l’assenza silenziosa dell’umano”. Quest’assenza silenziosa dell’umano è il darsi di un vortice cosmico, è sabbia che si addensa ma anche la scabra superficie della terra. In alcuni dei versi più significativi si legge: “tutto il peso, tutto il tempo si rapprendono nel sentire sotto la pianta la scabra superficie della terra”. In questo contatto scabro con l’elemento primario, con qualcosa che si manifesta nella sua novità al di fuori della trama storica trova, quest’ultima anta della trilogia, la sua nota più peculiare e forse il tema inedito. Come si può ascoltare da alcuni versi forse tra i più belli del libro dove si dice che:

il corpo al centro della primavera si ritrova al centro

del suo paesaggio: alberi del parco fontana e luce

sono le tracce note della vita felice. questo sole ripara

dalla finzione dei discorsi cresciuti su se stessi nei secoli

e quest’acqua scorre trapassando come tutto il resto

 

Questo sole, queste nozze quasi nel senso di Camus, nozze con la solarità e con gli elementi staccati degli alberi, del parco, fontana e luce, in questa enumerazione slegata di un paesaggio che è il nuovo centro, nuova centratura del corpo fuoriuscito dalla storia, è a questo livello, credo, che si svolge Al centro dell’inverno, attraversando differenti stagioni. E poi in modo forse non troppo paradossale proprio questo richiamo ad una dimensione fisico-naturale fa da reagente per quella che è nella trilogia delle qualità l’anta più politica. E’ il libro nel quale Cepollaro trova un linguaggio per dire la barbarie, la rapina del proprio tempo, la nuova dizione del dominio che proprio attraverso quella “capacità di bellezza nel cuore di un’eterna barbarie” può essere disvelato. È il tema, è il  leitmotiv soprattutto dell’ultima sezione, il corpo a “margine del crollo della speranza d’Occidente” che è il verso incipitario di alcuni componimenti dove il declino, il consumarsi di una certa modernità occidentale osservata con la coda dell’occhio, osservata attraverso la prospettiva fisico-corporale consente di notare da un lato il generarsi di nuove stirpi del dominio ma insieme anche di salvaguardare una dimensione che non è intatta ma che è comunque consapevole di quello scarto ma anche indifferenziazione tra natura e storia attraverso la quale l’espressione poetica trova un suo centro irradiante. È infine questo chiasmo tra natura e storia, tra barbarie e elemento primario che articola anche quel rinvio al futuro che troviamo appunto nei versi finali della trilogia, fuori del tempo, in un altro tempo , ai margini del futuro, oltre la speranza dell’occidente dato

 

(…) ma al suo crollo

non si fa debole la bellezza del mattino e il mare

risuona come all’ inizio il suo canto: è per coloro

che verranno la pena e per ciò che vi troveranno

 

La bellezza del mattino e il mare come fuoriuscita dal tempo ma insieme capacità di dire la distorsione del tempo presente apre a un futuro non definibile che se in una certa misura richiama il tempo apocalittico è anche una voce dell’immaginazione

“il corpo sa che il futuro è immaginazione poco tenuta a freno”  e ancora scrive Cepollaro “ il corpo ai margini del crollo destina le sue parole al sogno del futuro”. Sul margine dell’Occidente, sul margine di questa storia su cui si viene a collocare il soggetto così riposizionato è anche visibile, immaginabile, sognabile una “futurità” del tempo che sia differente, che sia appunto consegnata almeno alle generazioni a  venire. Ed è in questo senso, nella disperazione di un tempo che frana insieme anche una luce di speranza sebbene indeterminata che si chiude il libro, alla ricerca di quel virus benefico che possa sciogliere il sortilegio del destino. Cepollaro: “ (…) il virus benefico che renda intollerabile / il comando spingendo corpi inerti a prodigiosi moti”. Sono questi i prodigiosi moti che la piccola scienza del trattato delle qualità rinnova al nostro sguardo

 

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TRILOGIA IL POEMA DELLE QUALITA’

Trilogia : Le qualità, La camera verde, Roma, 2012

La curva del giorno, L’arcolaio, Forlì, 2014

Al centro dell’inverno, L’arcolaio, 2018

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il corpo è ricoperto di parole che fanno un racconto
e c’è il disastro che lo seppellì sotto la ruggine
dell’inverno e c’è l’aggressione che lo passò da parte
a parte – c’è la schiena trafitta e il taglio nella gola
ora sulle dita prova altre parole che insieme dicano
la corda troncata il saltello nell’aria il silenzio
di ogni risveglio come il coraggio della vita nuova

Da Le qualità, La camera verde,Roma, 2012

 

il corpo non si pone problemi di metrica
a lui pertiene il respiro che dice ed è questo
il ritmo che non solo esprime ma anche lo fa
felice: il sapere talvolta ha questo potere
di dare al corpo vita quando gli dà coscienza
ed è qui la misura e il piacere della sua danza

Da La curva del giorno, L’arcolaio, Forlì,2014

 

il corpo tra speranza e crollo d’Occidente si estenua nel suo piacere
il tempo senza storia è diventato pura tensione e intensità dell’ora
amicizia e amore fanno corona all’impegno di ogni giorno
a dire nelle forme più varie ciò che sembra vero. un ricordo di noi
forse costruiamo: di corpi all’opera nel fare la dignità dell’insieme

Da Al centro dell’inverno,L’arcolaio,Forlì, 2018

Nell’ambito della rassegna Poesia e Contemporaneo,MediumPoesia, Poesia tra avanguardia e transmedialità, con Francesco Ottonello e Italo Testa, Milano, 18 aprile 2018


Interventi su Le qualità 

Interventi su La curva del giorno

Interventi su Al centro dell’inverno.


 

Da Angelo Petrella,Il corpo della poesia.
Sperimentazione e immanenza nell’opera
di Biagio Cepollaro, il Verri n.64, 2017

(…)

5.

“Possiamo parlare di una «poesia dell’immanenza» per l’ultimo Cepollaro? A giudicare dalle parole dell’autore, sembra di sì: «nel tempo dell’estetizzazione diffusa avevo bisogno di una lingua secca, essenziale, ragionativa, che dicesse di una condizione etica, di un paesaggio interiore, traccia di un possibile altro rapporto col mondo. Ed è in quest’ambito che è cresciuto in me l’interesse per i temi della filosofia induista e buddista […]. Ma ciò che mi occorreva era una lingua che rinunciasse agli effetti retorici e al manierismo conservando il calore del dire, il respiro versale, il tono e la pronuncia di chi fa della poesia un’emergenza in un contesto di riflessione su ciò che sappiamo, di ciò che possiamo considerare saggezza e scienza».
Questa nuova poesia, che prende le mosse dalla progettualità di Lavoro da fare, si sviluppa nel corso dell’ultimo decennio in un dialogo spesso serrato con l’attività pittorica dello stesso autore.
La trilogia de Il poema delle qualità si apre con la raccolta quasi eponima,
che insiste sullo sfrondamento linguistico e l’essenzialità.

Nelle quattro sezioni del primo libro, i componimenti si sistemano gradualmente in una misura a metà strada tra il verso libero e la forma chiusa: non c’è rima né allitterazione, le figure retoriche sono estremamente contenute e il grado zero si prospetta come
l’essenza stessa della poesia. Continuando sul binario scavato dalla precedente raccolta, Cepollaro si concentra su quell’indagine psicologico- esistenziale non dell’«io» − che fin dagli esordi è stato scartato in quanto protagonista della lirica tradizionale e chiavistello
all’apertura verso il mondo – ma del «Sé», intendendo con esso quell’esperire continuo della propria essenza. Il corpo, che nell’esordio de Le parole di Eliodora era adoperato tematicamente o indicava la via di un approccio materialistico all’esistenza, qui
diventa «l’unità logica minima» (G. Mascitelli) e dunque il fulcro del discorso
stesso:

“il corpo si fa teatro e fondale ma anche onda che cresce
e che batte e ribatte sull’argine del tempo che si dà tra
sonno e veglia rosicchiando alla notte tutto il suo margine”
Il corpo non è la spersonalizzazione dell’io, né è la risposta sarcastica a una condizione storica: è piuttosto ciò che resta dell’individuo e del poeta, dopo un «azzeramento cartesiano»  (L.Bosco) della realtà esterna e dopo una lettura fenomenologica che lo abbia spogliato degli autoinganni e delle false interpretazioni. Ma è anche l’unico
tramite, non solo meramente «corporeo», per l’accesso al mondo e ai fenomeni. Questa poetica si farà più chiara già a partire dal secondo capitolo della trilogia, il cui prologo si intitola «Attraversare il bosco»:

“sotto pioggia battente il corpo coperto non si bagna
e la bici scorre con un sapere ovvio di ruote e di gomme
mentre l’asfalto e le piccole buche sono un pensiero
non visto il contesto immaginato di quest’andare
fisso davanti con lo sguardo tagliato dalle gocce
ma che lascia ricomporre dopo ogni lampione il paesaggio
pedalare è senza sforzo mentre il corpo galleggia
sul suo respiro: è una sera della vita è attraversare il bosco”
Ne La curva del giorno sembra che Cepollaro si diverta a tratti a lasciar intendere sensi figurali o allegorici alle proprie immagini,senza tuttavia fornire indicazioni precise. L’interpretazione resta sospesa tra la lettera del testo e il rimando a possibili chiavi di lettura differenti. Ma è proprio quest’apertura non programmatica, questo continuo insistere sulle possibilità stesse del senso a partire da immagini di una quotidianità spesso asfissiante, a costituire l’occasione propizia per la poesia. In realtà, sull’idea di arte come «evento», sembra innestarsi una concezione del fare letterario come
di un’esperienza: più che una manifestazione dell’Essere, la poesia è un’esperienza del Vuoto, inteso come quel tutto costitutivo eppure innominabile dell’esistenza. Non a caso l’autore scrive a proposito de Le qualità: «si trattava inizialmente del frutto di sessioni
di meditazione, di affinamento della percezione, poi di vere e proprie esplorazioni». L’orizzonte culturale del buddismo zen e il pensiero taoista classico sembrano integrare e, anzi, correggere perfettamente l’approccio fenomenologico: il concetto di «Vuoto
perfetto» del Lieh Tzu, il superamento del personalismo del Chuang Tzu e l’idea della «Via» che sfugge a qualsiasi tentativo di classificazione tramite il linguaggio del Tao Te Ching, offrono la direzione per un radicamento terreno e corporeo nell’esistenza, che
non deve ricorrere dunque più ad alcuna trascendenza per fondarsi. Questo radicamento nella realtà è ormai evidente e definitivo nella raccolta che chiude la trilogia, intitolata Al centro dell’inverno. La collocazione spazio-temporale è al tempo stesso dichiarazione esistenziale e analisi sociale: l’esistenza è immanenza alla terra, pur anche in una delle epoche storiche più complesse. Ma solo se l’individuo si riconosce radicato nel mondo e nell’«hic et nunc», in quanto corpo – non a caso, questo vocabolo è reiterato all’inizio di ciascuno dei componimenti − capisce che è «qui e
ora» la possibilità di un cambiamento: magari non ancora visibile, magari non ancora ipotizzabile. Ma non per questo meno necessario:

“il corpo ai margini della speranza d’Occidente si chiede
come accade che d’improvviso la folla dei corpi sottomessi
possano ribellarsi e riscattare le attuali vittime della forza
come si diffonde il virus benefico che renda intollerabile
il comando spingendo corpi inerti a prodigiosi moti”

Scoprire la vuotezza costitutiva che accomuna il «Sé» a tutti gli altri esseri non comporta il nichilismo. Semmai, l’assunzione di una responsabilità ancora maggiore per le sorti del mondo e, dunque, della possibilità dell’esistenza stessa. Come scrive Deleuze: «vita di
pura immanenza, neutra, al di là del bene e del male […]. La vita di questa individualità scompare a vantaggio della vita singolare immanente a un uomo che non ha più nome».

Alla fine di un percorso poetico più che trentennale, Cepollaro riscopre la vocazione
iniziale del suo fare poetico, sebbene in chiave totalmente nuova: il cambiamento, la critica e la rivolta, che possono esistere solo se preceduti dalla coscienza dell’immanenza e dell’appartenenza alla terra.”


 

A proposito de Il poema delle qualità

La composizione della trilogia  Il poema delle qualità copre un arco di una decina di anni (2008-2017). Ma se considero le fasi precedenti che hanno portato a questa trilogia e che hanno dato vita a  Versi nuovi (1998-2001)  e Lavoro da fare (2002-2005), il tempo si raddoppia.  Si tratta di venti anni in cui ho cercato uno stile diverso rispetto a quello iperletterario della prima trilogia, diverso rispetto alle mescolanze linguistiche o di codici che ho cercato con ScribeideLuna persciente e Fabrica

Lavoro da fare mi aveva lasciato con un compito non solo letterario ma anche esistenziale e morale: allentare la prospettiva egoica e intellettuale per considerare da una certa distanza la concretezza della mia vita, le relazioni di cui era intessuta, il contesto anche storico in cui si spendeva e di farlo soprattutto a partire dal qui e ora.

Quando ho iniziato il primo libro della Trilogia, Le qualità (2008-2011), ben presto è apparso questo protagonista, il corpo,  che si ripeterà sempre all’inizio di ogni poesia come soggetto enunciante e contemporaneamente come oggetto. Una certa condizione meditativa mi aveva permesso, nell’atto di scrittura, di provare a pormi ad una certa distanza dall’ordinario  rumore che nella mente  producono pensieri e immagini per poter concentrarmi sulle percezioni di questo corpo in relazione con il mondo circostante.

Non era solo un nuovo inizio per la mia scrittura, era anche un nuovo inizio per la mia vita, una sorta di doppio grado zero da cui ripartire. Il corpo che provavo a dire in poesia era sia sensazione, passione che pensiero, sia percezione che azione, era sia dentro che fuori ma sempre collocato in una determinata situazione e condizione. Ho detto allora della sua paura, del suo sentirsi minacciato come del suo amore per la luce e per la vita quotidiana  spesso vissuta come miracolosa.

Questo corpo a suo modo ha cantato le lodi di ciò che lo tiene in vita ogni giorno, non dando nulla per scontato e provando a sentirsi inserito in un contesto non solo urbano ma anche di civiltà, di specie e cosmico. Il sentimento della gratitudine di “essere stato invitato al banchetto” come si esprimeva Lavoro da fare, qui presiede perfino all’esplorazione del sentimento dell’odio che per quanto sia negativo è pur sempre un sentimento o una secrezione del corpo, se si vuole.

Ma è soprattutto con La curva del giorno (2011-2014) che ho esplorato poeticamente la condizione felice come passione , anche erotica, per l’immanenza e alacrità del vuoto. Si trattava di cercare una misura per il corpo e  per la sua impermanenza, trovare un modo per vivere dentro la condizione che ci tocca senza distrazione, senza spreco di tempo, intensamente. Questa prospettiva del corpo mi appariva come una concreta resistenza alle ideologie e alle propagande del sistema della comunicazione sociale.

Con  Al centro dell’inverno (2013-2017) ho sentito la storia collettiva irrompere con più forza, per il suo collasso. Il corpo non è il corpo naturale che sarebbe astrazione, il corpo è quello concreto, è il corpo continuamente connesso in rete e anestetizzato dalla compulsività del comunicare .

In questo ultimo libro ho avvertito più che altrove l’eccezionalità delle condizioni di equilibrio e la facilità con cui l’esser presenti può essere negato dal torpore, dal conflitto e dal trauma, situazioni negative non sempre legate alle singole persone ma spesso derivanti dal degrado della vita civile e culturale di questi anni. Ecco perché alla minaccia costante di opacità per le esistenze individuali fa da cornice come un venire meno della speranza collettiva nella fortuna dell’Occidente che a me appare sempre più indirizzato verso un nuovo e tecnologico Medioevo.

Se Lavoro da fare era realizzato con una lingua del monologo teatrale, dell’oratoria pensosa non priva di pathos, la trilogia Il poema delle qualitàsembra giungere per abbassamento retorico a una sorta di  grado zero come modo dell’immanenza: lontano dalle retoriche dell’io psicologico-romantico e lontano dalla retorica impersonale dell’operatore di scrittura, dalla scrittura “oggettiva”. Oltre i modi sia della poesia orfica e simbolista, sia della poesia “sperimentale” della post-avanguardia o postmoderna, della mia stessa poesia della prima trilogia coeva ai lavori del Gruppo 93.

Chi scrive poesia non è più lo Scriba, protagonista della prima trilogia, versione ormai priva di aura dello scrittore nel mondo dell’estetizzazione diffusa,  ma il  Corpo, non un individuo ma un singolo alla ricerca di nuove prospettive per dare un senso alla sua vita e alla scrittura stessa.

 


 

Appunti di lavoro   sulla trilogia Il poema delle qualità per Vincenzo Frungillo

Da Le qualità (2012) a La curva del giorno (2014), ad Al centro dell’inverno (2018) un cammino dal “corpo e gli incastri”, come recita la prima sezione del primo libro a “Ai margini della speranza d’Occidente”, ultima sezione dell’ultimo libro.

Un itinerario dalla condizione di un singolo corpo, inteso spinozianamente come unità di pensiero e materia, materia animata, attraversato e plasmato dalle situazioni, alla condizione della speranza -o della sua fine- nel mondo occidentale.

Il grado zero come modo dell’immanenza: lontano dalle retoriche dell’io psicologico-romantico e lontano dalla retorica dell’operatore di scrittura, dalla scrittura “oggettiva”. Oltre i modi sia della poesia neoromantica e simbolista , sia della poesia “sperimentale” della post-avanguardia o postmoderna. Dallo Scriba, protagonista della prima trilogia al Corpo, protagonista de Il poema delle qualità.

I.

Ne Le qualità (2008-2011) il corpo come allegoria di immanenza e crocevia di relazioni non connotate psicologicamente, si presenta come “segnato da incastri”, traduzione meccanica del volto segnato dalla sofferenza di cui scrisse all’inizio Cavalcanti. Il corpo nello spazio e nel tempo, il corpo alle prese con la scrittura.

Il sentimento è sostanza che il corpo secerne, sia come odio sia come gentilezza. Liberazione dal pathos (pag.43). Questo corpo si presenta come minacciato nel suo essere (pag.64), si nega alla fusione (pag.67), in cerca di una misura (pag73), affidato ad una risonanza vitale, una vibrazione (pag.73).

Il corpo nella prospettiva del tempo è soprattutto precarietà, l’immanenza è consapevolezza dell’impermanenza. pag. 90,93. L’oblio permette la vita (pag.96)

Il corpo nel tempo si è incarnato attraverso le dimensioni del biologico dell’economico e dell’ideologico pag.97

Il corpo animato è il soggetto enunciante che al mondo sta pag.101.

La poesia “contiene”, sia in senso cognitivo che emotivo, l’acuta emergenza del corpo nel suo presente, tra gli altri corpi nel mondo pag.107

II.

Con La curva del giorno (2011-2014) questo corpo enunciante, definiti i confini della sua immanenza, al di là delle retoriche del sentimento, dell’economia e della cultura, definito il suo grado zero di scrittura, permette le mescolanze e dice il suo attraversamento del bosco.

Gli incastri non saranno più meccanici ma liquidi, vitali, attivi. Nella luce dell’immanenza il corpo dice la sua condizione felice, precaria e finita, a dispetto della mitologia del pensiero unico circolante nella comunicazione globale.

L’immanenza è precarietà costitutiva e radicale impermanenza.

Il corpo vive per questo nell’ansia e nella paura che rendono più intenso il miracolo della condizione felice. Anche il comprendere è precario pag 35.

La conoscenza biologica del corpo  riguarda soprattutto la luce  (pag.48) che collega al cosmo, la terra sotto i piedi pag.49, 58,59,66 101 e 115.

L’intensificazione del vivo pag. 64 insieme all’eliminazione dalla scrittura di ogni traccia di enfasi, verso il grado zero: questa è la presenza viva alle situazioni pag 65.

Il pensiero è godere la luce nella consapevolezza di questo grado zero dell’esistere, sapere è questo sapore pag68.

La curva del giorno è la misura del corpo, la sua cosmicità pag69.

Il corpo come immanenza è resistenza ai poteri e alle loro ideologie pag 71

Il corpo non gioca con le parole  ma tende al piacere di dimenticare sé nell’immagine e nel suono che è il senso della parola poetica pag 73

Con l’Alacrità del vuoto si perfezione la luce dell’immanenza , la scoperta del vuoto non è nichilismo ma passione della finitezza (Camus), pag 78,79

“la meta condivisa è quel pieno che ti svuota” pag 81

Consapevolezza che i pirati organizzano per sé gli stati nella sfera pubblica pag 83

Il corpo è accumulo e dispersione pag 87 mentre l’esperienza è trauma pag 90

Memoria e tradizione sono miracoli pag 98 ,102

L’alacrità del vuoto è un fare  alacre e senza tensione pag 194

La luce a cui il corpo è legato. Ancor più della trama, le intensificazioni vitali sono da ricordare pag.115

Il corpo esprime un sapere che è vitalità consapevole, la scrittura è respiro e ritmo e coinvolge il corpo nella sua danza pag 117

III.

Con Al centro dell’inverno (2013-2017) già dal  titolo del prologo la cornice è la storia: Dal collasso della storia, mentre il prologo della La curva del giorno era Attraversare il bosco e de Le qualità era L’intuizione del propizio.

Nel prologo si dice della condizione del corpo connesso tra virtualità e realtà, corpo terminale di messaggi.

La sezione Tra i due lembi della notte continua la condizione felice dell’immanenza de La curva del giorno, anche se sullo sfondo di un mondo in cui la partita “è persa”.

La condizione felice è ancora poter  dissipare i confini nell’ alacrità del vuoto.

Con Umido e luce appare il freddo e il male della storia che preme.

Momenti di disgregazione interna pag 74,106. La sovranità del corpo è insieme alla sua precarietà pag 78 La fine dell’Occidente possibile per disuguaglianze e oligarchie pag 80. La condizione felice o pace inquieta nel tempo del crollo d’Occidente pag 92

Il dire poetico è significare il  mondo non descriverlo o raccontarlo che ‘il senso si dice e si misura nell’ascolto di chi resta” pag 93.

I molti cantori oggi producono silenzio pag94

Si tratta di raccogliere manufatti di parole per il prossimo Medioevo, pag 100, 107,113.

La rivolta sarebbe un prodigio 102,

L’Occidente è uno stagno 105

E’ stagion di doler tanto (Guittone d’Arezzo) 109.

Tempo non è storia ma tensione e intensità dell’ora 112

Sullo sfondo il nero, il dire è sogno di ritmo, piacere e presenza, di poco fare un mondo attraverso la forma dell’arte, fare del giorno cielo. (senso e speranza per l’umano) pag 115