Alcentro dell'inverno cop

Biagio Cepollaro, Al centro dell’inverno , L’arcolaio,Forlì, 2018

Le prime copie di Al centro dell’inverno (2013-2017), arrivate proprio ora. Terzo libro della trilogia dopo La curva del giorno (2011-2014) e Le qualità (2008-2011).Grazie a Gianfranco Fabbri Arcolaio e a Giusi Drago per la cura, Quest’anno è ricco di messi.
Dal Prologo, Dal collasso della storia:

“il corpo anche nel sonno avverte il sussulto del terminale
che dice il messaggio in arrivo o la battuta di qualcuno
a proposito di qualcosa ad una certa ora della notte: il silenzio
non c’è. in suo luogo una modalità silenziosa che piano
sovverte la calma del corpo e la sua greve indifferenza”

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il corpo ogni giorno si accende come si avvia un terminale

a lui fanno capo i messaggi in arrivo e ogni input che suona

è richiesta di attenzione e risposta. è pioggia che batte

sui vetri la chat che moltiplica i gruppi divisi per tema

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il corpo al centro dell’inverno può anche coprire con un respiro

lo spazio della stanza: desiderio e gioia ripetono la loro danza

ma è come stare su di una zattera o dentro un cerchio di luce

che scivola sulla terra. è tutto intorno che non si vede o peggio

è questo mondo prossimo che anche visto non si può toccare: sono

i corpi tutti nell’acquario che “postano” di cibi gatti e grandi imprese

 

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il corpo ogni giorno si connette attraverso un fascio di luce

ad altri corpi e le teste si annodano con onde invisibili

che muovono e smuovono anche di notte senza sudare

ciò che prima era solitaria fantasticheria ora è fantasma

di gruppo che si solleva dai cuscini e plana attraverso le porte

se il corpo tagliasse questo filo che lo lega agli altri

si sentirebbe immediatamente respirare ma l’incertezza

della strada sarebbe più grande e anche assordante

sarebbe l’immediato silenzio sceso nella stanza

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il corpo si tuffa nella piscina riempita da parole

che scorrono incessanti attraverso tubi invisibili

e lo connettono al mondo da ogni lato. sono continue

trasfusioni di senso che nella quotidiana insensatezza

affollano psiche fino a farla sola e febbricitante

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il corpo anche nel sonno avverte il sussulto del terminale

che dice il messaggio in arrivo o la battuta di qualcuno

a proposito di qualcosa ad una certa ora della notte: il silenzio

non c’è. in suo luogo una modalità silenziosa che piano

sovverte la calma del corpo e la sua greve indifferenza

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il corpo al centro dell’inverno è un vuoto che non si risolve

è un punto interrogativo che attende il tempo che lo prende

e lo solleva come quando è dentro al suo dire e non c’è differenza

col suo fare. affacciato sull’istante luminoso che non viene si sporge

oltre la minaccia di morte e malattia: ripassa a memoria i volti

pochi dell’incanto che lo salvano forse dal collasso della storia

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il corpo che si disconnette sguscia via dall’involucro

d’onde che lo stringe. fuori torna ad essere assenza

di linguaggio: ora è soltanto pelle e patina tempo

e postura mentre l’aria della primavera profuma

o

il corpo al centro dell’inverno vede ancora più buie

le strade che portano fuori dalla città verso un’ecologia

di confine tra periferie sfigurate e il grigio negli occhi

molte vite si sbranano qui senza neanche un racconto

basta la rabbia e la tristezza basta per ogni giorno

l’abitudine e per ognuno la morte è la fine del mondo

Italo Testa  su Al centro dell’inverno a Bologna in Lettere 2020

Italo Testa

Uno sguardo a Al centro dell’inverno

Con Al centro dell’inverno Biagio Cepollaro conclude la sua trilogia delle qualità che si rivela ad uno sguardo retrospettivo come un’unica catena anaforica che tiene assieme in una trasmissione continua le manifestazioni di questo corpo-soggetto descritto in terza persona ma nello stesso tempo singolare presenza animatrice dei versi dell’intera opera. Tale corpo è un punto di vista incarnato che diventa momento di un “fluire in comune” come scrive appunto Biagio Cepollaro in cui i corpi singolari si collocano in un fascio di luci di altri corpi, le “teste si annodano con onde invisibili”. L’esperienza della rete che era alle spalle delle precedenti ante della trilogia qui ritorna ma nello stesso tempo si allarga, si dirama nel dare forma a questo corpo-presenza che è appunto un corpo mente, un Body-Mind: è l’istanza di un pensiero incorporato che “secerne grumi di pensiero” che carnalmente individuato è anche insieme esposto alle contingenze degli eventi. E’ insieme singolare e plurale in quanto nel suo individuarsi si apre continuamente all’ incontro con l’altro, si sveglia anche nei momenti onirici nel sonno dell’altro, si fonde con l’altro. E’ un corpo-mente  che è oggetto ma insieme soggetto di una “piccola scienza dei movimenti”, una sorta di piccolo trattato spinoziano che ha come protagonista questa fisica incorporata, questa scrittura fisica. È un corpo che vive una sua dimensione di sovranità che non è politica, non riguarda la storia del potere e del dominio ma è piuttosto la sovranità del corpo “ che cerca e trova la sua sovranità nell’ occhio che senza storia ricorda intero l’accaduto: è nuovo” E’ la sovranità dell’occhio senza storia che scopre di abitare in una dimensione, in un tempo immemorabile, appunto, in cui è sciolto dalla trama, è spogliato dalla configurazione del tempo storico e in questo può incontrare il nuovo.

Versi nuovi era il titolo di un’opera di transizione che portava verso questa trilogia e la questione del nuovo, a mio avviso, rimane sottostante anche a Al centro dell’inverno. È un nuovo che si apre, si squaderna in quello che già nella prima parte del libro è chiamato il collasso della storia. Si squaderna in una dimensione post- storica che pone in atto una sorta di sospensione, di epoché che consente di prendere le distanze da quell’ impalcatura del tempo lineare e progressivo che dà forma alla finzione centrale delle nostre vite, della nostra modernità. La distanza dalla storia è piuttosto lo strappo in un tempo immemorabile. In questo strappo, dice Cepollaro, in questa sospensione l’esistenza è guardata tutta d’un fiato “non c’è trama né storia”. Per questo sguardo d’una esistenza sovrana, denudata ma non nel senso di una mera nuda vita  biologica ma nel senso di un’esposizione ad un contatto anche sovra-storico che Al centro dell’inverno si muove. Ciò che possiamo chiamare la natura che viene dopo, è il tema del contatto con il paesaggio, non chiamiamolo natura ma, come scrive Cepollaro, “non è la natura che cerca ma l’assenza silenziosa dell’umano”. Quest’assenza silenziosa dell’umano è il darsi di un vortice cosmico, è sabbia che si addensa ma anche la scabra superficie della terra. In alcuni dei versi più significativi legge: “tutto il peso, tutto il tempo si rapprendono nel sentire sotto la pianta la scabra superficie della terra”. In questo contatto scabro con l’elemento primario, con qualcosa che si manifesta nella sua novità al di fuori della trama storica trova, quest’ultima anta della trilogia, la sua nota più peculiare e forse il tema inedito. Come si può ascoltare da alcuni versi forse tra i più belli del libro dove si dice che:

il corpo al centro della primavera si ritrova al centro

del suo paesaggio: alberi del parco fontana e luce

sono le tracce note della vita felice. questo sole ripara

dalla finzione dei discorsi cresciuti su se stessi nei secoli

e quest’acqua scorre trapassando come tutto il resto

Questo sole, queste nozze quasi nel senso di Camus, nozze con la solarità e con gli elementi staccati degli alberi, del parco, fontana e luce, in questa enumerazione slegata di un paesaggio che è il nuovo centro, nuova centratura del corpo fuoriuscito dalla storia, è a questo livello, credo, che si svolge Al centro dell’inverno, attraversando differenti stagioni. E poi in modo forse non troppo paradossale proprio questo richiamo ad una dimensione fisico-naturale fa da reagente per quella che è nella trilogia delle qualità l’anta più politica. E’ il libro nel quale Cepollaro trova un linguaggio per dire la barbarie, la rapina del proprio tempo, la nuova dizione del dominio che proprio attraverso quella “capacità di bellezza nel cuore di un’eterna barbarie” può essere disvelato. È il tema, è il  leitmotiv soprattutto dell’ultima sezione, il corpo a “margine del crollo della speranza d’Occidente” che è il verso incipitario di alcuni componimenti dove il declino, il consumarsi di una certa modernità occidentale osservata con la coda dell’occhio, osservata attraverso la prospettiva fisico-corporale consente di notare da un lato il generarsi di nuove stirpi del dominio ma insieme anche di salvaguardare una dimensione che non è intatta ma che è comunque consapevole di quello scarto ma anche indifferenziazione tra natura e storia attraverso la quale l’espressione poetica trova un suo centro irradiante. È infine questo chiasmo tra natura e storia, tra barbarie e elemento primario che articola anche quel rinvio al futuro che troviamo appunto nei versi finali della trilogia, fuori del tempo, in un altro tempo , ai margini del futuro, oltre la speranza dell’occidente dato

(…) ma al suo crollo

non si fa debole la bellezza del mattino e il mare

risuona come all’ inizio il suo canto: è per coloro

che verranno la pena e per ciò che vi troveranno

La bellezza del mattino e il mare come fuoriuscita dal tempo ma insieme capacità di dire la distorsione del tempo presente apre a un futuro non definibile che se in una certa misura richiama il tempo apocalittico è anche una voce dell’immaginazione

“il corpo sa che il futuro è immaginazione poco tenuta a freno”  e ancora scrive Cepollaro “ il corpo ai margini del crollo destina le sue parole al sogno del futuro”. Sul margine dell’Occidente, sul margine di questa storia su cui si viene a collocare il soggetto così riposizionato è anche visibile, immaginabile, sognabile una “futurità” del tempo che sia differente, che sia appunto consegnata almeno alle generazioni a  venire. Ed è in questo senso, nella disperazione di un tempo che frana insieme anche una luce di speranza sebbene indeterminata che si chiude il libro, alla ricerca di quel virus benefico che possa sciogliere il sortilegio del destino. Cepollaro: “ (…) il virus benefico che renda intollerabile / il comando spingendo corpi inerti a prodigiosi moti”. Sono questi i prodigiosi moti che la piccola scienza del trattato delle qualità rinnova al nostro sguardo


Al centro dell’inverno e la Trilogia Il Poema delle qualità

di Biagio Cepollaro

Dialogo a più voci tra Tommaso Di Dio, Vincenzo Frungillo,

Giorgio Mascitelli e Francesco Ottonello

MediumPoesia 7 giugno 2018 via Laghetto2 Milano


Prima dell’uscita effettiva di Al centro dell’inverno, il 16 marzo 2018, al Bezzecca Lab a Milano, Vincenzo Frungillo ha parlato dell’opera all’interno della trilogia Il poema delle qualità e in riferimento specifico al tema del corpo.

Vincenzo Frungillo

Il corpo nella trilogia Il poema delle qualità

Da più lettori  e critici degli ultimi libri di poesia di Biagio Cepollaro viene la definizione di Il poema del corpo. La trilogia Il poema delle qualità sarebbe soprattutto un poema del corpo.  Il percorso poetico di Biagio è coerente ed  è stato studiato da molti critici, interessante in particolare è il saggio di Angelo Petrella per il Verri (n.64, 2017) che mostra chiaramente le diverse tappe della sua produzione. Da una prima trilogia, De requie et natura(1985-1997), si passa attraverso una fase mediana , Versi nuovi (2004) e Lavoro da fare (2006) alla seconda trilogia, Il poema delle qualità (2008-2017) costituita da Le qualità (2012),  La curva del giorno (2014) e Al centro dell’inverno (2018). Il tema del corpo, come nota Petrella è già presente all’ inizio del percorso, ne Le parole di Eliodora (1984) che esibisce in esergo una frase di Nietzsche: “ Fu il corpo che disperò della terra che intese parlare il ventre dell’essere”. Già nel 1984 il corpo aveva la funzione di riportare la questione dell’essere dal piano metafisico a quello dell’immanenza. Questa operazione nella prima trilogia è stata realizzata attraverso il linguaggio, attraverso la creazione dell’idioletto, tra lingua inventata e dialetto, lingua del basso, viscerale, per opporsi alla lingua classica della lirica , quella orfica e per cercare strade nuove rispetto alla neoavanguardia. A tal proposito va detto che non è corretto accostare la prima trilogia alla neoavanguardia perché il recupero della lingua medioevale da Jacopone a Cavalcanti è una caratteristica specifica di Biagio e del Gruppo 93 e non del Gruppo 63. Questa fase si chiude nel 1996 e, secondo Petrella, in concomitanza con la morte di Amelia Rosselli. A partire dal 1998 vi sarà la stesura di Versi nuovi per un superamento della crisi, il cui incipit “respira respira” sembra richiamare proprio la grande poetessa. Lavoro da fare continua questa ricerca fino alla pausa che precede Le qualità che, a detta di Luigi Bosco (http://www.inrealtalapoesia.com/nuovo-discorso-sul-metodo-alcune-riflessioni-su-le-qualita-di-biagio-cepollaro-di-luigi-bosco/ ) costituiscono l’elaborazione di un trauma. Bosco dice che a questo punto Cepollaro ha bisogno di ricreare totalmente l’ambiente intorno a sé. Al centro del mondo c’è il corpo ma non come poetica o portato ideologico come nel 1984 ma come “unità logica minima” (Mascitelli), nel senso che il corpo è sia soggetto che oggetto della poesia. Il soggetto che dice è lo stesso che fa esperienza, che è oggetto di esperienza, cantato e conosciuto all’interno del poema. E come se il soggetto e l’oggetto diventassero un tutt’uno. Il primo libro, Le qualità, ha unsa storia particolare. E’ statoprsentato attraverso dei dialoghi con i suoi lettori registrati in video, attualmente disponibili su youtube. In occasione della registrazione di uno di questi video avevo detto che questo libro mi faceva pensare, anche per il titolo, a Husserl e a Musil dell’Uomo senza qualità.  La risposta di Cepollaro mi chiarì l’origine di questo titolo che non è occidentale ma orientale. Le qualità vanno intese come guna, i tre aggreganti cosmici della filosofia induista. Leggendo l’indice de Le qualità è come se si assistesse ad una descrizione del corpo secondo le sue qualità o attributi: il corpo e gli incastri, il corpo e il moto, il corpo e il tempo e il corpo e il verso. Nel secondo volume, La curva del giorno è come se il corpo fosse descritto nel suo momento di relazione con l’esterno. Il prologo è “Attraversare il bosco”, richiamo al movimento, a stretto contatto con la vegetazione, l’impossibilità di districarsi, essere tutt’uno con la vegetazione. Vi è in senso etimologico qui l’elemento ecologico de Il poema delle qualità: il corpo è immediata relazione con l’esterno, impossibilità di distinguersi nettamente dall’esterno. Questa impossibilità pone in crisi l’occhio che possa oggettivare l’esterno, l’io cartesiano. Richiamando Spinoza, il corpo identifica spirito e materia. Il corpo diventa allegoria di questa immediata relazione con il mondo esterno. Questa originaria connessione con l’esterno in senso orientale si rivela essere il vuoto. Noi siamo costitutivamente in relazione e in dialogo con il vuoto. Nel terzo libro, Al centro della notte, dove il dato meteorologico si fa allegoria più universale, il corpo si mostra come ciò che illumina il buio o il vuoto che lo circonda. Il corpo illumina e sopporta, delimita il vuoto. Nel terzo libro il corpo estende il suo orizzonte fino a raggiungere la dimensione politica. Il suo prologo s’intitola Dal collasso della storia e ci dice di un corpo posto in una situazione di solitudine e in contatto con la rete, di un corpo “connesso”. Questa condizione potrebbe esprimere anche una chiusura rispetto all’apertura dei due libri precedenti. Il corpo in solitudine e connesso può essere visto come il corpo utilizzato come ganglio della rete, nel senso biopolitico dell’espressione. Il corpo ridotto a esigenze biologiche può essere oggettivato secondo le funzioni della rete. Nelle altre sezioni del libro torna una riproposta etica, soprattutto nell’ultima sezione, un’indicazione di una via di uscita dal solipsismo funzionale a una forma di controllo. Si tratta di un’opera collettiva possibile attraverso la relazione che i corpi stabiliscono tra loro. Si legge: “La dignità dell’insieme” e “manufatti di parole” da cui ripartire nel nuovo Medio Evo in cui stiamo entrando:

“il corpo ai margini del crollo d’Occidente desidera

mettere in salvo i manufatti di parole da cui un giorno

forse l’umanità potrà ripartire. così fu per l’antico

Medio Evo così è per questo nuovo: in salvo le parole

ancora potranno risuonare alla fine della prossima notte”

o anche:

“il corpo si protende nel primo freddo di autunno

col disagio e l’allegria del passaggio nuovo: anche lo stile

giunge alla sua saturazione e il gesto che si ripete

con la sua forma non scopre più il mondo ma conferma

un modo di dirlo e ne consolida all’infinito il senso”

Vi è come il passaggio dal corpo-monade al corpo-organismo, insieme sistemico di relazione, indicazione etica per uscire dal solipsismo ma “organismo” è anche il poema in sé, e quindi vi sarebbe anche un’indicazione di poetica.

Milano,16 marzo 2018 Bezzecca Lab

Vincenzo Frungillo: Nona giornata dedicata alla Trilogia Il poema delle qualità. Bezzecca Lab, 16 marzo 2018, Milano.


Prologo a La curva del giorno (L’arcolaio 2014) Prologo a Al centro dell’inverno (inedito) Ritratti di poesia 2017, Ottava parte. Roma 3 febbraio 2017

Pubblico qui il video della mia lettura a Ritratti di poesia 2017. Grazie a Vincenzo Mascolo e a Carla Caiafa per l’ottima organizzazione. Grazie a Gianni Montieri per la breve e succosa chiacchierata e per l’amicizia .

Da Al centro dell’inverno (2013-2017)

III sezione

Ai margini della speranza d’Occidente

*

il corpo nell’occhio del crollo d’Occidente imbandisce

con scrupolo la cena: vino rosso che conta i suoi anni

e pesce che ha risalito la corrente. il nutrimento comune

è una festa e a cantare l’inno di gloria è il desiderio

di mescolarsi alla luce che radente si stende sul tavolo

*

il corpo non sa se o da dove si avvisterà

il primo tratto della speranza: l’Occidente

avvitato su se stesso inizia la sua implosione

dividendosi all’interno. la forma che nel tempo

si è data per lo scambio ha portato l’intera

specie all’estinzione. ma invece di frenare

sull’orlo del precipizio sembra accelerare

*

il corpo ai margini del crollo d’Occidente misura a spanne

la distanza dalla sua fine e conta di cogliere gli ultimi

bagliori dell’epoca che è stata: fantasie distopiche fioriscono

al cinema e nei sogni un’ansia collettiva che non può

essere detta fa tenere il capo chino e trattenere il fiato

*

il corpo ora sa che in suo potere vi è solo

la parola da formulare: nella sua bocca

prende forma rotonda un concentrato di pensiero

e passione l’uno nell’altra fusi

in una posizione. il dire è significare il mondo

non descriverlo né raccontarlo: che il senso

si dice e si misura nell’ascolto di chi resta

*

il corpo attende l’autunno come la scossa che smuove

la smemoratezza. il caldo ha fatto dei pensieri vapore

e l’acqua ha dominato come l’ombra il campo dei desideri

ora è un tornare lento a sé un riprendere forma dell’espressione

e del moto. l’azione qual sia ha il sapore buono dei risvegli

*

il corpo nell’afa fatica a respirare: l’aria mossa

dai ventilatori è solo aria che si sposta. resta

la stessa la condizione come quella d’Occidente

preso dalla favola della “crescita” senza fine

e senza senso e dal controllo di massa sul dissenso

*

il corpo ai margini del crollo d’Occidente desidera

mettere in salvo i manufatti di parole da cui un giorno

forse l’umanità potrà ripartire. così fu per l’antico

Medio Evo così è per questo nuovo: in salvo le parole

ancora potranno risuonare alla fine della prossima notte

*

il corpo ai margini della speranza d’Occidente si chiede

come accade che d’improvviso la folla dei corpi sottomessi

possa ribellarsi e riscattare le attuali vittime della forza

come si diffonde il virus benefico che renda intollerabile

il comando spingendo corpi inerti a prodigiosi moti

*

il corpo ora vede come tutte le espressioni che scorrono

sugli schermi si mescolano con bocche eguali

anche se diversi sono i palati e diversi i denti: nessuno

vieta di parlare anzi a tutti l’incoraggiamento a dire

è il modo questo per sgretolare l’Occidente che s’infutura

in uno stagno sempre presente da cui non si può uscire

*

il corpo ai margini della fine della speranza d’Occidente

ha poche parole da mettere in salvo nel palmo di una mano

la luce che contagia alla giusta distanza del sole dal pianeta

l’euforia animale che si diffonde sulle scale della metropolitana

il centro di una festa che risuona di voci dalla casa di fronte

e il fervore della notte che sale lentamente fino a sfociare

*

il corpo ha fatto del dire il sogno del suo ritmo: il nero

sullo sfondo e intorno da sempre ha richiesto un raggio

di piacere e presenza un antidoto buono a fare di poco

un mondo: la forma dell’arte è niente senza questo

discernimento: la lotta sulla terra è fare del giorno cielo


Giorgio Mascitelli

Alfabeta2, 8 luglio 2018

Con la pubblicazione di Al centro dell’inverno (L’arcolaio, Forlimpopoli, 2018, euro 13) Biagio Cepollaro porta a compimento la trilogia cominciata con Le qualità (2012) e proseguita con La curva del giorno (2014) dal titolo complessivo Il poema delle qualità. Il libro come quelli precedenti è caratterizzato da brevi componimenti, mai sopra i dieci versi, che hanno come soggetto, innanzi tutto in senso grammaticale, il corpo, mentre il riferimento al termine poema sembra richiamare, oltre che la possibilità di una lettura continua come se si trattasse di lasse introdotte dalla stessa anafora, praticata dallo stesso autore in occasione della presentazione milanese, una tradizione della poesia antica come luogo di riflessione critica e conoscenza, già testimoniato dal De requie et natura che titolava la prima trilogia, uscita negli anni Novanta.

Al centro dell’inverno si presenta come il culmine di un percorso di rarefazione e di ricerca dell’essenzialità che attraversa tutta la trilogia e ancora prima l’opera di Cepollaro a cominciare dai Versi nuovi: si tratta di un’istanza stilistica in cui l’invenzione linguistica risiede in meccanismo di descrizione di uno stato del corpo e successivo fulmineo commento sorretto da un lessico colto ma standard usato però con libertà nell’estensione metonimica dell’arco semantico di alcune parole (ad es. la terminologia giuridico-politica nell’ambito della quotidianità: “ il corpo cerca la sua sovranità nel dissipare i confini/ raccolti da ogni notte: qui nella confusione che suscita/ con altro corpo perde importanza ogni nome…” p.37). In questa prospettiva il corpo è un’unità logica minima, il soggetto di un’esperienza che viene liberata da ogni rischio di monumentalità ed esemplarità anche involontarie connessa con l’uso degli istituti della tradizione lirica e dell’io poetico. Questa strategia retorica consente a Cepollaro di approdare a una sorta di inedita osservazione fenomenologica della propria esperienza che risulta ancora dicibile e significante perché non ingabbiata in pregiudizi soggettivistici o ideologici né in orpelli psicologicizzanti.

Del resto in tutta l’opera poetica il problema di Cepollaro, che è al contempo il motore etico della sua ricerca, è quello di trovare una posizione da cui dire l’esperienza senza cadere nelle trappole metafisiche ed estetiche del vecchio io poetico. “Il corpo vivo e distratto non crede di essere eterno/ né collabora chiedendo a rate un prestito alla collettiva/ narrazione: si tiene piuttosto a debita distanza e appare solo/ sol perché si astrae da un mondo di parole fallaci e dall’idiozia” (p.33) sono versi che rendono bene l’operazione poetica in cui la soggettività del poeta diventa semplicemente un nucleo di osservazione dell’esperienza e un tramite per la sua comunicazione con un senso della misura stilistica che è parte essenziale del messaggio. La scelta etica della presa di distanza dalle parole e dalle cose dominanti nella nostra società non è presentata enfaticamente come l’epifania di una sensibilità o di un percorso esemplari, ma come conseguenza logica, alla portata di chiunque, della comprensione di un certo stato di cose.

Motivo specifico di questa raccolta è l’intrecciarsi dell’esperienza individuale con la storia e con la crisi attuale della società, non è un caso che il prologo della raccolta abbia come titolo Dal collasso alla storia e l’ultima sezione sia Ai margini della speranza d’occidente. In realtà la dimensione politica e civile resta, sotto traccia, uno degli elementi fondanti del paesaggio poetico in tutta l’opera di Cepollaro, ma è vero che è dai tempi di Fabrica, pubblicata nel 2002 con testi peraltro risalenti alla metà degli anni novanta, che essa non occupava una posizione così esplicita nella struttura dei libri. Qui addirittura viene citato esplicitamente il Guittone d’Arezzo della canzone ahi lasso, ora è stagion di doler tanto: “il corpo condivide una pace inquieta: il regime del sopruso/ diventa legge e per quanto si possa vivere a una conquistata/ distanza resta comunque un filo di nausea che attraversa i giorni/ anche quelli più illuminati da fervida primavera: è questa/ che si apre oggi per noi la vera stagion di doler tanto” (p.101). Se dunque il giudizio etico e la consapevolezza politica sulla stagione sono assolutamente chiare, la realtà evocata non viene ‘denunciata’ né criticata secondo categorie ideologiche, che pure Cepollaro padroneggia, ma diventa una delle dimensioni in cui si elabora l’esperienza del corpo. La pace inquieta in questi giorni di doler tanto è il modo concreto in cui si riflette nella quotidianità l’esperienza storica. La condizione verosimilmente finale ai margini della speranza d’occidente viene evocata senza alcuna ridondanza espressiva e senza alcuna concessione allo stile apocalittico e addita il non detto collettivo, questa volta però nominato e qualificato, con il quale la nostra coscienza infelice non vuole fare i conti. E tra i meriti di quest’opera non mi sembra certo l’ultimo.

Biagio Cepollaro

Al centro dell’inverno

L’arcolaio, Forlimpopoli, 2018

euro 13

È possibile acquistare questo libro in tutte le librerie e su Ibs.it.

https://www.alfabeta2.it/2018/07/08/biagio-cepollaro-il-corpo-al-centro-dellinverno/


Francesco Ottonello

BIAGIO CEPOLLARO: UNA POESIA NECESSARIA, L’URGENZA DEL CORPO

PUBBLICATO IL GIUGNO 22, 2018 MEDIUMPOESIA

Ciò che colpisce della Trilogia delle qualità o Trilogia del corpo di Biagio Cepollaro è un sentore di necessità del lavoro poetico, che pervade l’opera, leggibile come un poema continuo: a partire da Le qualità (2012) e La curva del giorno (2014), per arrivare a Al centro dell’inverno (2018). Un “lavoro da fare” – come recita il titolo della notevole silloge del 2006 di Cepollaro, anticipatrice della trilogia – che nasce da un’urgenza personale. Nonostante ciò, nei testi non compare mai esplicitamente l’Io poetico, se non per alcune eccezioni (ad esempio, i testi introduttivi del primo dei tre libri). Se vogliamo, però, è come se la parola “Io” fosse stata sostituita dalla parola “corpo”, un aspetto che mi pare fondamentale sottolineare. Questa scelta può essere data dall’intento di non limitarsi ad esprimere una volontà strettamente individuale, che viene, così, ‘allargata’ per comprende l’altro insieme all’Io in unico termine, che non sia un retorico “noi”, ma che è appunto «corpo». Si ha dunque una parola-postura che si impregna di nuove semanticità, una parola materica che non è inerte, ma assumendo un peso si muove, si blocca, patisce, non risultando voce vuota ed effimera, ma raggrumando in sé le fatiche dei singoli “Io” e la propria personale, nella ricerca di una dialettica tra sé e l’altro, una dialettica dei corpi. Difatti, la maggior parte dei testi della trilogia – e la totalità di quelli del terzo libro – esordisce proprio con l’espressione: «il corpo», che al di là di essere tema, si fa elemento linguistico che dà via al principio dinamico di costruzione dei singoli testi poetici e del macrotesto. In questo poema in tre momenti leggiamo una poesia del corpo che si fa, con difficoltà, presenza, caratterizzata dal coraggio di «fare» e «dire» nel presente. Proprio per questo, quella di Cepollaro è anche poesia del lavoro, nel senso etimologico di labor, ovvero fatica, anche della parola, che è sì dell’intelletto – che la medita e la articola nella formazione dei versi – ma che è anche fatica del corpo. Con l’insistenza prolungata su questo termine, il poeta cerca di dissolvere la dicotomia tra «corpo» stesso e «psiche». In essa, spesso, il corpo «è come se inciampasse», ed essa risulta talvolta «un’incertezza», o del corpo persino «una delle sue invenzioni», che non tollera la «completezza del silenzio». È come se la dicotomia si risolvesse con psiche annullata e inglobata nella nuova “entità-corpo”, che: da una parte «cerca la sua sovranità nel dissipare i confini» e nella confusione con l’altro, dall’altra ha bisogno di stabilire «ciò che chiama esterno» e lavorare «alla creazione del suo margine».

Può essere interessante, a questo punto, verificare queste impressioni focalizzandoci sui versi estrapolati dal libro che chiude la trilogia: Al centro dell’inverno. Qui è affrontato anche il rapporto tra corpo e società: ritroviamo un richiamo all’urgenza del corpo, che nella società ipermediale e virtuale viene a mancare più facilmente. Come ha scritto McLuhan, in Understanding Media (1964), l’apparizione di ogni nuovo medium comporta una rivoluzione dell’intero sistema. Il mediumrisulta essere un’estensione del nostro corpo, che procede dunque ad una necessaria autoamputazione. Per evitare di cadere in un effetto narcotico e narcisistico e fare la fine del Narciso del mito, è fondamentale riconoscere nel medium un’estensione del proprio corpo, ed è dunque fondamentale il concetto di responsabilità. E più di tutti è l’artista – per McLuhan – l’uomo della “coscienza integrale” – e potremmo aggiungere – colui che è capace di percepire il contemporaneo e le potenzialità rivoluzionanti dei media. Infatti, in uno dei testi di apertura della silloge, Cepollaro scrive che in questa società «il corpo ogni giorno si connette attraverso un fascio di luce / ad altri corpi e le teste si annodano con onde invisibili», così avviene che «se il corpo tagliasse questo filo che lo lega agli altri / si sentirebbe immediatamente respirare ma l’incertezza / della strada sarebbe più grande e anche assordante / sarebbe l’immediato silenzio sceso nella stanza». Da questi versi emerge la paura della solitudine, una paura che diventa vero e proprio terrore e paralizza, allontanando dalla possibilità di vivere più serenamente la solitudine stessa. Essa assume un aspetto positivo in questo libro, anzi, risulta un momento fondamentale per poi potersi connettere davvero con l’altro corpo, senza che la «solitaria fantasticheria» divenga «fantasma». Anche se in questa società un corpo «appare solo / sol perché si astrae da un mondo di parole fallacci e dall’idiozia», la solitudine – seppure dolorosa – deve essere vissuta e preferita alla condizione di vuoto, offerta dal mondo delle iperconnessioni. Considerevole risulta, dunque, il rapporto tra il corpo e la parola, infatti «il corpo si tuffa nella piscina riempita da parole / che scorrono incessanti attraverso tubi invisibili», e sono proprio queste parole a connettere il corpo al mondo, che si fa in tal modo «quotidiana insensatezza». La «psiche» risulta, così, affollata ed invasa, con il paradossale risultato di «farla sola e febbricitante», negandole un necessario silenzio, una necessaria solitudine. Poi, si può fare emergere il rapporto tra corpo e vuoto, difatti, a una sana e necessaria solitudine vissuta, si sostituisce la modalità desolante del vuoto che pressa, tant’è che: «il corpo al centro dell’inverno è un vuoto che non si risolve / è un punto interrogativo che attende il tempo che lo prende» e anche ciò che potrebbe salvarlo «dal collasso della storia» –  ovvero «i volti / pochi dell’incanto» – pare poter venire meno con un’allarmante facilità, per via di una superficialità ipermediale. Contro essa il poeta incalza, scagliandosi col coraggio del dire e del fare, riflettendo con coscienza nel tentativo di creare una poesia del pieno, poesia necessaria, poesia dell’urgenza del corpo. Di rapporto tra potere e corpo si è occupato a fondo anche Pasolini, di formazione marxista, così come lo è Cepollaro, con cui alcuni sono i punti di contatto. Egli tentò di mostrare anche nel suo ultimo film, Salò o Le 120 giornate di Sodoma (1975) – attraverso una struttura allegorica improntata sulle opere di De Sade, Dante e Marx – come la complicità di mass media e potere politico fosse basata su interessi perlopiù economici, con la volontà di abbassare gli standard culturali e assoggettare la masse. In questo modo, si arrivava a fare quello che lo stesso fascismo non era riuscito a compiere, una “rivoluzione antropologica”, capace di scalfire l’animo attraverso la corruzione del corpo, mercificato e divenuto strumento del potere. La negazione assoluta del corpo e del suo valore era per Pasolini la negazione assoluta dell’umanità, data dall’impossibilità di riconoscere nell’altro uomo una persona, che nel corpo trova la sua manifestazione più urgente. La scelta di Cepollaro – che coglie un avanzare sempre più pressante di quel rapporto di “Potere” che Pasolini tentava di esprimere – è proprio quella di rimettere il corpo vessato e mercificato al centro delle sue riflessioni e della sua poesia. Al di là del «piacere» e del «godimento», sono necessari per il corpo il «respiro» e il «silenzio», entrambi aspetti associati alle due attività fondamentali dell’entità-corpo: il «dire» e il «fare». Infatti, Cepollaro scrive che del corpo «il silenzio che non appare è una sua voce», e il mondo iperconnesso diventa «un sempre più inutile discorso». Un corpo incontra un altro corpo per far «rimbalzare le parole» e «le sue pulsazioni sono gli accenti / di un dire che conclude la frase solo per cominciarne un’altra». È quindi presente una volontà di ascesa e di inserimento in un «flusso comune», ma allo stesso tempo è presente un bisogno di ritrovo del proprio respiro. Certamente, al di là del forte impianto filosofico occidentale e marxista, possiamo cogliere nella poetica di Cepollaro un rapporto con il pensiero e il sentire orientale, buddista e soprattutto taoista (anche il termine “qualità” è in realtà una traduzione del sanscrito gua). Infatti, «il corpo si dà una misura attraverso il respiro», ed è il respiro del corpo che si configura come il ritmo della poesia. La parola necessaria ed essenziale viene opposta alla parola vuota dell’inutile chiacchiericcio e dell’eccesso di logos. Fondamentale risulta l’unione tra i corpi, e un corpo si lega ad un altro corpo «sedimentando nella memoria il piacere». Esso vuole «tornare rinnovando ad ogni abbraccio la condizione dell’inizio», tuttavia, spesso può risultare «imbrigliato nei tempi e nei modi di una vita prescritta», rimanendo ancorato alla «distanza della storia» e non essendo consapevole dell’«archeologia che il corpo porta con sé». Un corpo conscio realizza, invece, che «il capire è solo una parola» e che ciò che risulta importante è il fluire comune «avvicinando i corpi per fare insieme l’istante». Il problema aumenta quando il corpo arriva al punto di «usura» – individuale, ma anche storica – e «comincia ad aprirsi la falla», giungendo poi ai Margini della speranza d’Occidente (titolo dell’ultima sezione del libro). Il corpo in questa epoca «non sa se o da dove si avvisterà / il primo tratto della speranza», e l’Occidente – da intendersi come «un ideale divenuto poco corrispondente alla realtà», come indica l’autore in nota – non fa che  essere «avvitato su se stesso», accelerando il suo processo di «implosione» e «dividendosi all’interno». In questo stato di cose, Cepollaro ci mostra un corpo alla ricerca degli «ultimi bagliori», in una dimensione di «ansia collettiva / che non può essere detta». Tuttavia, accanto ad una pars destruens, Cepollaro riconosce anche una possibilità di pars construens, che sta in due dei pochi poteri rimasti al corpo: «la parola da formulare» – ovvero «il dire», che è «significare il mondo» – e la forza del «fare», che comincia rendendo il «respiro» del corpo la propria «misura». L’ultima poesia, infatti, esplicita questa connessione tra il fare e il dire, tra «terra» e «cielo», il concreto e l’ideale, oriente e occidente, perché «il corpo ha fatto del dire il sogno del suo ritmo», senza cui «la forma dell’arte è niente».

Nota

Qui trovate il link al sito di Lampioni Aerei, a cui va un ringraziamento per la concessione dei materiali http://www.lampioniaerei.it

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