Renata Morresi
Proposta di lettura di Biagio Cepollaro
(2016)
Una micro(auto)antologia
[da Cuore comune, peQuod 2010]
Ecografia
Venire a persona –
succede quando una incontro a
una sbatte e sfrega
e fa il suono suo
l’impronta in cui sa di accadere.
Quasi essere tutta una orecchia
una cava che amplifica gli echi,
gli attriti, distingue rintocchi
quasi a trasmettere
un alfabeto morse
di unghie e di nocche.
Pare che persona non comincia
fino a che non cominci a contare
lo spazio battuto da un’altra
e diventi contare il minuto,
il passo già umano sul monitor.
Dunque si esiste così,
come per ritmo e richiamo.
*
Mare alto
L’arrivo
Il metodo dell’arrivo
è una ragazza
che ci affida il nostro numero.
Il campeggio
Sulla mente della montagna batte
la base militare. È una luce blu la sua
sapienza di farsi controllo.
Dritto davanti il mare, fa un muro,
dal centro della vita si leva, richiude.
Sul fianco della montagna il campeggio
dieci per dieci ettari di colonia
è senza pelle la mattina, grata
di condannati e gogna dell’imbelle.
Di sera dopo le dieci si prega
di non lavare più i denti, le pentole.
Rimarrò nella tenda, tra le stelle.
La baita
La casa ha 3 stanze,
la tesi di vacanza è la veranda
che funziona d’antimondo.
Campeggiatori
Intorno brulica l’attività
segreta della specie, occultata
in un cocciare di stoviglie schiuse.
Ciabatte
Ciabatte sparse fuori dalla tenda
né da uomo né da donna. Ciabatte
umane, buone al viaggio verso Marte.
Posizione
C’è una tenda verde così alta da starci
in piedi e due amache messe a fianco
a strisce rosse e azzurre dove non ho
mai visto nessuno dondolare, stare
in piedi. La posizione orizzontale
sul mare ci livella frontali al cielo
increspature in superficie, miracolo
del morto contro tesi darwiniane,
muscolo a medusa, cuore di derive.
Notte
La notte non lava niente
aggiunge solo segni al buio
luci intermittenti da galera
a galeone dondolando
la stiva della mente
la linea alta della biosfera.
Mare alto
Sulla groppa del bufalo notturno,
costone ricciuto del promontorio,
il mare alto si beve il mio sguardo.
Se lo beve per intero, mi sta
sopra non come a riva dove arriva
schiacciato sotto i fianchi. Chi lo sa
come si vede il mare. Come finge
di stare per una ed essere molte
figure che non una sa capire.
[…]
*
Nel traffico
What do we know? We’re just drivers
Che ne sappiamo? Guidiamo solo, noi
L’autista
Anche noi abbiamo visto il quartiere
a modo nostro riunito
le auto per colore e una maglietta
con le righe, con uno sforzo enorme
per comprendere gli avverbi
richiesto ai presenti d’essere tutti
attenti abbastanza a non mischiare
le immondizie, osservato la distesa
di pavimenti e porte
la spaventosa fiducia riposta
nel film preferito, nel giudizio
razionale, nella reazione a pelle,
la nostra intelligenza ornamentale.
Guidando attorno al blocco
su una giostra super-grande
scordando dove andiamo al non-lavoro
girandoci distratti da un pino
e da un tiglio o da un tiglio
e da un pino e gli altri vecchi
cittadini, continuatori del continuo
ed invidiati a vuoto, galleggiamo
sul cervello aggrappati alle scritte
sul muro come “sn morta”
o “tu sei il mio placebo”.
Vediamo il cantiere potenziale
ormai abraso, quasi sacro
messi in salvo da miracoli sfuggenti
le voci non previste dei passanti
che si cercano più umane, “siamo tutti
mezzi mezzi”, dalla solita canzone
che ci faccia dire ah, che ci faccia dire eh,
passare quasi candidi o schiantare
come gatti, rimasti a lingue secche
con le orbite sfondate per volere
più visione. Pensiamo come pazzi
e più generalmente ci perdiamo
senza uscire dal Comune
dal traffico o da questa
incorruttibile corruzione.
*
Il viale
se così si può chiamare quella discesa spaccata
d’inverno e d’estate…
- Pagnanelli
Rientrando a casa l’altra sera
l’auto incideva la linea del viale
come un laser scagliato dallo spazio.
Spiego così quel verde dalle piante
più giallo cedro rame che verde,
un colore di linfa lenta-densa
che colava da quel taglio che io ero.
Col mio cyborg rugginoso aprivamo
la cerniera nel buio della terra
l’ultima striscia virente nel nero di nulla.
Dov’erano finiti torrioni, merli, catacombe,
tutte le mura turrite, le torri merlate,
tutte le stanze scavate nel colle, le celle,
i francesi, i conventi e i feti aggrappati
ai cantucci di pietra? E le camere
iperbariche cogli ibernati umani,
gattini e gli altri amati a spiare dagli oblò
le vendette delle selve che in assalto regolare
staccheranno la corrente?
Un no muto suona uguale da ogni corpo,
oblungo come un loculo di Poe.
Tra statue di sale, ex-persone,
locuste, ulcere, gramigne e rane,
era già tutto avvenuto e l’eterno pediluvio
riavviato verso nuove mutazioni.
Cosa ci facevo io, post-galattica eroina
senza manco una tutina di neoprene
a ritornare a casa
come se la terra fosse immune
come se sterpaglie e barricate non crescessero
col ritmo di un contagio all’ora?
Forse era solo il sogno
di me rinchiusa nel pianeta,
nelle asme del pianeta,
nelle sue stive nodose,
nelle tane di formiche del pianeta,
insieme ai cento milioni ripieni
d’unguenti e scongiuri
a ripetere l’ultimo sogno comune,
l’ultima comune linea
che ci tiene insieme,
il mio viale, il tuo viale.
[da Bagnant, Perrone,2011]
Vendesi
[…]
Viale Martiri
In distinto condominio anni 60
finiture in buono stato per le scale
nella camera sui muri ombre di mobili
sgomberati da tempo come una sindone
ma la signora che non aveva figli
ha lasciato l’immobile a un Istituto
di Torino che le regalava sempre
il calendario cioè una volta all’anno.
Colleverde
All’ultimo piano 3 vani 2 bagni
soggiorno ampio con angolo cottura
panorama sulla valle momentanea
sospensione degli allacci possibile
ricavare altra stanza-studio poco
rumore dagli appartamenti – ma no
non m’oriento troppo vuoto troppo nord
un vento che il muro non sa confinare.
Zona San Francesco
La signora Perugini col sorriso
nella porta apre mescolando il gesto
al corridoio come quando allunga
il tavolo da pranzo ai quattro figli
ritratti in cornici blu e gialle e mattone
congiungendo il braccio e la stanza in fondo
come una costellazione o un lenzuolo
ricucito come un palazzo disteso.
Annunci
Dicono tutti rifinito con cura
funzionale servitissimo adiacente
su due livelli su tre livelli su
struttura ristrutturata di recente
ideale per gli amanti degli spazi
originali giardino effetto-subito
sito su ampia visione mozzafiato.
A sé stante. Indipendente. Finito.
Facciata II
si vede tutto dalla finestra aperta
si vede dentro dalla finestra aperta
si vede aperta
la senti aperta
la vuoi aperta
ti vedi aperta
si vede dentro con la finestra aperta
si vede il bianco della finestra aperta
Agente immobiliare
Oh i tuoi temi, uso eguaglianza restauro
esclamazione, con tutti i presidenti
sulle scale, la veranda, il posto auto,
quel che aderisce e prosegue ché nessuno
facilmente viene a patti con la morte.
Le parti costituenti il corpus casa
nazione, parti belle più parti immonde,
mai assolte dal responso del futuro.
Viale Martiri II
Messi in ordine sensazionale verso
ovest sul letto senza guardarsi pronti
a rientrare in funzione bravi peluches
disposti a ricordarsi tutto a portare
sia la lezione schietta dell’esistenza
(qua il contatto, là il lavoro, dio e il di più)
sia la follia del suo rabido guerrare
sfibrarsi sfinire tornare, assenza.
Costruzioni Tartari
Il geometra stende bene la pianta
millimetrata della casa, espone
con cura il modellino giallo con alberi
di cartonato verde, il tetto rosso
da progetto e i pupazzetti che sostano
all’ingresso, uno vestito di grigio
uno con la gonna rosa – com’è facile
guardare un colore e vedere il deserto.
*
Trenitalia
[…]
i passeggeri evidenti
rassicurati dal ritmo
del cruciverba
dal nulla raggiungono
mnemosyne, bokassa
ricompattano anse d’ansia
non sapendo bene cosa
hanno voluto, quando
«dov’è Cesena?»
«dopo Faenza»
«no Faenza è subito prima di Bologna»
«ci sarà Forlì allora»
«forse Cesena»
fa pena la notizia
del cane rubato all’uomo cieco
di Montallegro (Agrigento)
saper vedere tutte le torture
in successione
e
sapere non-vedere
«è tutta un’altra cosa, e cosa prendi tu?
Il 5 per cento? Cosa vuoi che sia?
E comunque figurati se te li danno!»
cosa strana che sia danno
costituzionale
PUBLIC TRANSPORT
sbandare verso altro
rimpianto –
e sia, andare alla vista con una curva
negli occhi, da dervisci distratti
dal grandangolo d’infanzia
dalle piume dei pioppi
dalla calendula gialla
radiosa di rabbia,
dall’alfasud
all’
erba
che ci ha pensato via
[…]
Auto-introduzione coesa ad auto-antologia aleatoria
Nulla si è depositato di me, sto ancora scappando via. Sto scappando via rimanendo qui, la biografia famigliare era la mia ossessione – l’ho radiografata nel suo fondo nero trovando più suoni che contorni: vedi “Radiografia” – ed è rimasta fortissima. Fortissima come la frammentazione, che non ho mai capito se fosse subita oppure scelta mia, un modo per sottrarmi a un non-destino incombente e farlo esplodere. Esplodere nella scrittura a lungo ha significato spaccare ogni significante, rovesciarlo su stesso, iniettarla di cose estranee. Le cose estranee erano in fondo la struttura di chi ero, non del tutto italiana, non del tutto femmina, non del tutto simmetrica, il mio stare fuori e alla ricerca. Alla ricerca ho dedicato tanta parte del mio lavoro, anni di studio e viaggi, libri e saggi, e anche tanto insegnare e rabbia e infine riconoscere sia la morsa del sistema-Italia, dove un cieco feudalesimo sposa il rampante nulla dell’arroganza individualista in versione liberista, sia quella sorta di ebbrezza da liberazione che offre, paradossalmente, il non avere futuro, né spazio. Lo spazio è cresciuto come una gramigna, e l’ho come scoperto, da adulta, con sorpresa, tanto mi avevano formato le sue forme, indagato fino a rintracciarvi le tracce della mia dissoluzione. Soluzione di voce non s’è trovata e mi sta bene chiamarlo neo-eclettismo: la voce è solo una vecchia metafora, una trovata retorica, come quando dico “ero” e so benissimo che continuo ad essere, sebbene non accada in modo univoco, né sola. Sola mi accade solo di venire attraversata: nel campeggio di “Mare alto” mi invadevano le nudità degli altri, la stranezza di riunirsi da sconosciuti in un posto per ballare il merengue e bagnarsi, i riti di vacanza di cui riconoscevo lo spirito vacante, il nostro flottare (quasi, forse) nel niente. Niente mi ha commosso come il perdermi nella città, un tempo le grandi città straniere dove ogni passo spalancava un diverso corpo di me, un diverso mito di eventi, poi la cittadina italiana, nel suo darsi già espropriata, carina e larvale, vivibile e isolante, dove ho origliato i passanti, letto i muri, guidato in tondo senza segnaletica, senza segno. Segno ancora, come facevo in Vendesi, l’anti-evento quotidiano, la faccia buffa del vuoto. Vuoto le parole incontrate ovunque, le parole economiche, per re-impastarle nell’inutile poetico, per re-imbottirle di se stesse, come fosse un esercizio di cucina – che è anche un esercizio conviviale – dove costringo me stessa nel crogiolo e nel mescolarmi presto attenzione. Attenzione alla distrazione: non è che una nuova condizione dell’attenzione, un nuovo strato della coscienza, chissà, persino un nuovo stato dell’ecosistema, tanta gente che viaggia da ferma, sul treno, non sa niente, come in Trenitalia, trema all’unisono, con un nonnulla.
(Renata Morresi)
uh!
Questa è – oltretutto – rarissima gentilezza, che vale ancor di più forse di generosità. Non si può che ringraziare, ringraziarne, e voler leggere le strade di Renata, ancora e ancora. Grazie, Giampaolo
[…] Tomada , Vincenzo Frungillo , Francesco Filìa, Viola Amarelli, Eugenio Lucrezi e a Renata Morresi. Sul lavoro di Gianni Montieri è possibile leggere un mio intervento qui […]
[…] a Francesco Tomada, Vincenzo Frungillo, Francesco Filìa, Viola Amarelli, Eugenio Lucrezi, Renata Morresi , Gianni Montieri e Giovanna Frene. Una mia lettura critica dei testi poetici di Italo Testa […]